domenica 21 dicembre 2014

Le porte del villaggio







Un tempo, qui abitava
l'uomo di montagna
mani nodose come rovere,
viso color del bronzo
e della terra,
scura la pelle,
il sorriso avaro
ha prolificato,
lottato,
edificato,
amato e sofferto.
Nel giorno della sconfitta
è tornato a valle.
Ha depositato l'ascia e gli zoccoli,
nel cammino spento
si annidano i ragni
baite senza speranza
sono penetrate dalla neve.
Ardeva fuoco di pino, un tempo,
nella cucina bassa e scura
cuoceva il pane, la minestra, la polenta,
la madia odorava
la farina e crusca
il fumo anneriva
ancor più la fronte
i capelli li avvolgeva
il vento contrario.
E' sceso a valle
a fronte china
si vergognava delle rughe
e della caligine,
fuggiasco un fagotto di stracci,
le ossa doloranti,
il sorriso più avaro
( tratta dal libro: la montagna di E. Dulevant)

giovedì 9 ottobre 2014

Vicini all'immenso





Ci fu un tempo, in cui le alpi erano la mia meta, la mia aspirazione, il solo luogo dove poter passare un momento sereno, felice e spensierato e pieno di promesse. Avevo sempre con me un libro di poesia: semplice e genuina. La stessa che sentivo nel mio cuore. Racchiuso in esso avevo tante speranze ,nella mia mente albergavano mille sogni, insieme a tanta voglia di vivere amare e correre, per sentire , riflesso, dentro me tutto l'azzurro di un cielo meraviglioso 

Vidi al tramonto il ghiacciaio del monte rosa tingersi di mille sfumature rosa. .
Vidi il monte bianco sgombro da nubi, annuciare dalla sua postazione la sua potenza al mondo.
Vidi il Cervino, unico solitario e irripetibile tesoro alpino.
Vidi il cuore del gran Paradiso, dolce, bellissimo , tenero vivace nei suoi colori nelle sue forme , come un bambino.
Vidi il Gran Sambernardo, il suo delizioso laghetto, una deliziosa ochetta che tranquilla e indisturbata nuotava nell'acqua. Di quei monti toccai la neve del ghiacciaio che mai si scioglie. Mi sedetti sulla vetta più alta, e guardando ora il cielo, ora le montagne, ora l'infinito sotto di me, mi sembrò di essere in un mondo che nn faceva parte del mio mondo. Mi parve di vedere in quelle vette l'essenza di un dio: dolce e buono, ma severo e implacabile . Rimasi incatata quando scoprii sui costoni di quei monti, piccoli cespugli di fiori bianchi, timidi ruscelli di acqua fresca, e giovani salti d' acqua che scendevano dall'interno di un grande masso che sembrava, miracolosamente, appoggiato al terreno .
Vidi il piccolo San bernardo e la sua valle.
Vidi la Valtellina, il vicino ghiacciaio del Bernina, che dominava la vallata,
Vidi i piccoli e caratteristici paesi, dell' ALta e bassa Valtellina , le sue verdi valli, che per km costeggiavano la strada che dalla frontiera della zona franza, porta a Bormio. Li per quella strada mille ponti su torrenti indimenticabili, tanti laghetti, a volte interrotti da una diga.
Vidi il passo dello Stelvio, col suo paesaggio , impervio , che infondeva intorno un atmosfera quasi spettrale avente qualcosa di magico, tanto che incanva chi passava di lì. fermandosi a guardare tutto ciò che apapriva davanti ai suoi occhi .
Vidi il passo Gardena, era d'inverno, ne ebbi quasi paura. Una montagna bellissima, ma che nelle notti in cui la neve fiocca e il vento soffia senza tregua, ti può apparire come una mano crudele che vuole spazzarti via, Ma poi, tornato il sole e placato il vento , ti scopri a dimenticare la precedente impressione. La montagna , illuminata dal sole ,la sua vetta libera da nubi ,che pare sfiorare il cielo, nn puoi che infonderti una sensazione di benessere .
Vidi il cadore, il suoi laghi, i suoi boschi, le sue imponenti cime di Laveredo e poi ancora avanti , il paesaggio che regala la strada che dal Cadore porta alla marmolada.
Vidi marmolada :un luogo indescrivibile. Come unico e indescrivibile è il percorso che porta , dalla Marmolada fino al passo delle tre Croci, e poi ancora avanti fino al passo del Pordoi, per poi scendere e poi ancara risalire dal delizioso paesino di Moena, al passo di San pellegrino .

In questo meraviglioso tratto delle alpi, un susseguirsi, di cantene montuose, disegano insieme ai boschi alle cascate e ai torrenti, un paesaggio mozzafiato. D'inverno quando la neve è adagiata sui prati e sui rami degli alberi da la sensazione di essere in un mondo incantato , abitato da , streghe, fate e folletti, hai las ensazione di vedere apparire che babbo nel cielo con la sua slitta trainata dalle renne . Dal camino delle poche case isolate della zona, foriesce una colonna di fumo grigio, che infonde nell'aria un buon profumo di buona legna bruciata nel camino. Mi ricordo un pomeriggio verso il tramonto , ero sola all'inizio del bosco , nn molto distante dalla strada. Dovevo tornare alla macchina dove mi aspettavano i miei che erano tornati dai campi da sci. Ero in mezzo a quei monti, nel silenzio più totale, avevo quasi paura ,ma ero affascinata nn riescivo a decidermi ad andar verso la macchina , poi lo squillo del cellulare mi richiamò alla realtà, la voce di mia figlia più piccola mi ricordò che stava facendo buio.
Vidi il passo di san Pelligrino e i passi laterali ancora più belli , dove le montagne sembra quasi che ti tocchino, peccato che d'inverno e il giorno nn durava che poche ore, mi sono sempre chiesta, come fossero quegli angoli di paradiso, in una notte d'inverno quando il cielo era sereno e la luna e le stelle illuminavano tutto intorno.
Vidi i paesini a valle. Vidi posti meravigliosi
Guardavo senza mai stancarmi: boschi, laghetti , cascate, torrenti,.le mucche, i falchi, i corvi, le farfalle, e ttuto ciò che di piccolo o grande appariva ai miei occhi, nulla sfuggiva, tutto mi fermavo a osservare cercando di imprimerlo nella mia memoria per nn dimenticarlo più. Un po' come si fa quando si è felici insieme alla persona che si ama
Delle alpi, dalla Marmolada fino al monte Bianco , avrei voluto conoscere ogni anfratto, ogni lembo di terra .
Quei monti, tanto belli ma anche tanto misteriosi, in alcuni punti sembrava volessero imprigionarmi da quanto era stretta la gola delle montagne fra cui mi trovavo . Le loro vette, i loro costoni in pietra , sembravano, dar vita a mille figure dipinte sulla tavolozza del cielo, che parevano addirittura animarsi, quando la neve veniva spostata dal vento.
Nei giorni sereni, il grigio dei monti spiccava contro il cielo azzurro in un contrasto unico al mondo.
In alcune punti delle alpi, nelle sere dai rossi tramonti, il grigio dei monti prendeva il colore del rosa.
La a sera a volte mi succedeva di nn riuscire a staccare gli occhi da una luna particolare che sorgeva da dietro il monte di fronte a me.
A volte dopo un temporale, un meraviglioso arcobaleno si estendeva da una vetta a un’altra, e piccole nuvole bianche si posavano sulla cima delle montagne .
Lassù in mezzo a quelle vette maestose e impervie,mi sentivo un puntino . Ricordo il vuoto, se guardavo sotto di me, Ricordo l'infinito, se guardavo davanti a me, Ricordo l'azzurro se alzavo gli occhi verso il cielo.
Sarebbe bastato un passo falso, per farmi cadere nel vuoto, e nn far rimanere di me, che le le briciole. 

Ho pensato, mentre ero su uno dei tanti passi alpini, come sarebbe stato bello essere un aquila, spiccare il volo, e sorvolare tutte le cime del passo, fermarmi a riposare ora qui ora là, E di notte riposarmi nel mio nido, a guardare le stelle, mentre intorno regnava silenzio. Ho immaginato come sarebbe stato bello essere un cerbiatto, e nella mia corsa toccare torrenti, cascate, e riposarmi all'ombra degli abeti . Ho sorriso all'idea di essere uno scoiattolo, che costruita la sua tana , nel tronco di un albero lesto si arrampicava fin sul suo ramo più alto, e poi riscendeva a terra e sgattaiolava per il bosco a cercar allegramente il cibo , per il periodo invernale.

Civita: città fantasma






A guardarla da lontano, affacciata sull'orlo dei dirupi che 'assediano da ogni parte, Civita di Bagnoregio, una piccola frazione a pochi km da Orvieto, sembra una città fantasma.
Dalla visione di una cartolina che la ritrae sospesa nella nebbia, mi è parsa come un grappolo di case fluttuante nel vuoto, sorretto dai vapori...tutto ai meriggi dell'irreale.
E' stata costruita sorge su una vetta di un colle a 443 mt, formato da uno strato di materiale tufaceo formatosi a seguito di una serie di eruzioni vulcaniche .
Questo strato di alva solidificata poggia però su una base di argilla e sabbia alquanto instabile, difatti la zona è stata soggetta a numerosi stravolgimenti tellurici e frane che hanno modificato la morfologia del territorio.
La cittadina di Civita pè stata fatta risalire ad epoca etrusca , a comprovare ciò vi sono numerosi rinvenimenti archeologici .
Si collega alla terra ferma con un unica e esile passerella, di cemento, attraversabile solo a piedi, o in bicicletta.
Man mano che si inoltra sulla passerella sospesa nel vuoto, si avverte una sensazione di distacco, dal mondo reale, pare di ritornare indietro nel tempo, un tempo che molti non hanno mai conosciuto, un tempo in cui il progresso non aveva chiesto troppo a questo nostro mondo e all'umanità.
Arrivati in cima alla ripida salita superata la porta di Santa Maria ci si trova fra due lembi di case , con le finestre spalancate sul vuoto, infatti di quella casa è rimasto solo il muro perimetrale e quelle finestre senza ante che aprono lo sguardo verso il cielo.
Si ha quasi l'impressione di trovarsi in un latro mondo una dimensione diversa dalla nostra.
Poi si guarda meglio, alla finestre delle case co sono piante e fiori, e su di esse delle targhette in legno che almeno io non avevo mai visto in altro luogo, e recano queste parole:
" per favore non toccate i fiori e le foglie delle piante...guardatele soltanto"
E' grande la sensazione di rispetto per la natura che cominciano quelle parole.
E' un altro mondo un'altra realtà c'è persino il contadino che torna dai campi con il suo asino....
Si cammina in un'atmosfera ovattata, senza rumori, e senza affanno anche se il paese è un continuo sali scendi, fino ad arrivare inondo alla strada senza un uscita, una facciata di una casa dove dietro c'è solo il cielo.
Una città fantasma la chiamano, ma ancora qualcuno la sta vivendo, mantenendo ancora vivo ciò che rimane di questo lembo del passato sopravvissuto, al tempo e alle avversità naturali, anche se da una città ricca e fiorente si è trasformata in una città che muore, un piccolo paese destinato alla distruzione eppure attaccato alla vita, lo si vede appunto dall'ostinazione dei pochi abitanti che si rifiutano di abbandonarlo, quasi a volere morire lì insieme a lui .
Gli abitanti rimasti sono circa una ventina che vi dimorano tutto l'anno, per poi aumentare fino a trecento in estate.
Le strade sono tenute con una cura meticolosa , vi è rispecchiata la voglia e soprattutto il lavoro di potere dare a questo paese la sua continuità
Civita è un po' il simbolo delle condizioni precarie in cui versa tanta parte del nostro patrimonio storico, ma se potrebbe essere anche il simbolo di una volontà di recupero e rinnovamento che permetterebbe di dare un avvenire al nostro passato.

Altri sapori









Chioggia nella sua parte più vecchia : un piccolo mondo a se, a pochi passi dalla parte moderna della città, dal caos della zona balneare e della parte nuova di Chiggia
In questo contesto, passato e presente, sono a confronto in maniera vera e netta.
Quando si arriva alle porte della Chioggia di ieri, si pongono allo sguardo due realtà, la prima che va incammnandosi verso costruzioni moderne ,strade caotiche, semafori, circonvallazioni, che infondono l'angoscia della fretta del caos . La seconda invece che si incammnina verso la Chioggia di ieri, le sue case colorate, il suo canale e i ponti che lo attraversano , un altro mondo che tanto ricorda l'amata e indimenticabile Venezia.
Con gioia e sollievo attraverso il ponte che porta nella parte vecchia della città, guardo sulla sinistra: il duomo e sulla destra le tipiche abitazioni veneziane adornate di fiori.
Silenzio colori e pace accompagnate dallo sciacquettioo delle acque e dal rumore impercettibile che fanno le barche navigando sulla superficie del canale .
Le stradine interne che partono dalla banchina in riva al canale .
Al termine della via che costeggia il canale si apre allo sguardo il mare aperto , i suoi gabbiani che indisturbati col loro volo ne rasentano la superficie .... sulla sinistra un ponte austero che porta dalla parte opposta...dove si riprende la via che riporta verso il presente..alla fine della strada ci si ritrova nuovamente a quella porta e a quel ponte che divide due epoche, non più gioia ad attraversalo ma solo angoscia di ritornare in un mondo troppo freddo ..troppo normale ..troppo diverso dai miei desideri



...poi un pensiero invitabilmente va..all'amata ed indimenticabile . Venezia, ai suoi canali, alla sua piazza San Marco, al suo mondo che rimane : unico ed imoortale nel cuore e nella mente di chi l'ha visitata ..



Leggende d'alpeggio





Una volta all'alpeggio di Tsatellà c'era un pastore che portava il suo bestiame a pascolare sulle proprietà altrui.
Un giorno arrivò una guardia campestre per levargli la contravvenzione : "Quanti manzi hai?" gli chiese.
"CONTALI!" gli rispose il pastore. La guardia iniziò ma ad un certo punto restò bloccato col dito per aria.
Passò così tutta la notte ed al mattino quando il pastore tornò gli disse: "se hai finito di contare puoi andartene" e liberò la guardia dal malocchio. Il poveretto appena poté muoversi partì di corsa dimenticando la multa.

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Il Ros dou Pitchè Mondo" monticava le mucche all'alpeggio di "Pro Sec". Una volta durante l'inverno le accompagnò all'abbeveratoio ma una, che era quasi alla fine della gravidanza, scappò. Si dice che ciò capiti sovente in questo periodo ma questa volta la mucca non si trovò più. Inutile ogni ricerca era sparita. Circa due mesi dopo due cacciatori partirono per una battuta di caccia al camoscio su a Variossa e qui videro sulla neve delle orme che dal racard (fabbricato di legno) di "Pro Sec" scendevano al torrente . Le seguirono fino al torrente pensando di trovare un camoscio, ma qui videro la mucca del "Ros duo Pitché Mondo" con il vitello!
Era selvatico e dalla paura saltava come u n matto. Nel racard vi era del fieno. La mucca se ne era nutrita mangiandone un po' e per dissetarsi andava fino al torrente. Il vitello era sopravvissuto perché succhiava il latte della madre. La mucca venne presa mentre il vitello scomparve in una nube di fumo e fu mai più rivisto

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Il padrone dell'Apeggio di Tsatellà aveva un numeroso gregge di pecore ma un giorno non trovò più nulla, neanche una; le cercarono dapertutto, ma inutilmente.
Non si trovavano più. Il pastore quando vide la disperazione del padrone disse: " Se mi date qualche cosa ve le trovo io le pecore!"
Ciò detto andò sul tetto della stalla, si tolse gli zoccoli e messosi in bocca le dita dei piedi le succhiò dicendo di tanto in tanto : " patcho vèn" .
Dopo un momento si videro le pecore apparire sul monte Mèabè e scendere di corsa verso i fabbricati

dal libro " La montagna" di E. Dulevant

Genuini sapori






La montagna è simbolo del sapore genuino, di luoghi incontaminati, quasi, dove ancora si vede il fondo dei torrenti, la vegetazione che cresce florida nelle sue svariete specie
La gente del luogo e' attaccata e gelosa della sua terra e ne rispetta il valore.
Anche se putroppo diverse specie di animali sono oramai in via di estinzioni...rimaste vivi pochissimi esemplari che se ne guardano bene di mostrarsi agli occhi della razza che li ha distrutti.

Sapori che per molti sono ormai lontani, forse per alcuni nemmeno mai goduti, capiti apprezzati , per altri sono solo dimenticate,emozioni che si snodavano fra sudore e armonia, fra tristezza e gioia, fra verità e silenzi, fra volontà e stanchezza , oggi tutto questo soppiantato dalle comodità che il progresso ci ha regalato

I monti, luoghi dove ancora uomini , ambiente ed animali convivono in perfetta armonia , scambiandosi reciprocamente , doni, gratitudine.
Contesti dove tutto è ancora possibile, dove ancora l'uomo può sentirsi se stesso, ad un passo dall'eternità..


Una figura che ancora vive sui nostri monti è il guardiano di mandrie bovine.
Quando arriva il tempo di portare le mandrie al alta quota. il montanaro, abbandona casa, famiglia, amici e abitudini quotidiane per vivere ad alta quota per più di 100 giorni.
Vive così in una solitudine interrotta solo da isolate discese a valle, da visite saltuarie dei familiari e dei proprietari delle mucche, o dal passaggio di qualche turista.

La settimana lavorativa, degli arpians, ( così sono chiamati i guardiani di mandrie) non conosce nè sabati nè domenica, inizia prima dell'alba e termina la sera.
Verso le quattro di mattina, i pastori iniziano, la loro giornata, con la mungitura delle mucche, poi le mandrie vengono condotte al pascolo, vengono irrigati i pascoli, e si comincia a lavorare il latte appena munto

La mandria, sul versante erboso, bruca mentre il pastore arrampicato su uno spuntone si assicura una buona vista sulla mandria.
E da lì da' i suoi ordini ai cani affinché impediscano alle mucche di disperdersi e invadere le superfici erbose che serviranno al loro nutrimento nei giorni successivi

IL silenzio scende sull'alpeggio, dando al tutto un sapore particolare, a tratti, si ode, qualche campanaccio o l'abbaiare dei cani se un intruso si avvicina.
Dopo la siesta pomeridiana inizia la seconda parte della giornata, che è pressoché uguale alla prima. Così si arriva alla sera e a un buon sospirato piatto di polenta.
Cantando piccole filastrocche

Dall'acqua
un po' di sale
e di farina
di meliga
Un paiolo
un bastone
un bel
fuoco di legna.
Due braccia
che rimestano
per un'ora.
E' tutto
ciò che ci vuole
per fare
la polenta
non è
molto
ma quanta gente
nel tempo
hanno saziato
dell'acqua
un pò di sale
e di farina
di meliga


Spunto tratto dal libro "la mntagna" di E. Dulevant